Sistema Museale Ruvo di Puglia e Musei Vaticani

Museo Civico

Pinacoteca Cantatore

L’insieme della collezione Cantatore di proprietà del Comune di Ruvo di Puglia è costituito da opere grafiche tra acquatinte, acquaforte, litografie.

Per vedere altre opere consultare il servizio cartoline, in cui puoi spedire le immagini a chi vuoi.
Se invece vuoi consultare la bibliografia di Domenico Cantatore

Musei Vaticani

Una visita che vi porterà tra le più alte espressioni dell’arte di tutti i tempi, dove Bellezza e Fede s’incontrano in un connubio unico. Un appuntamento, assolutamente, da non perdere a Roma.
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Museo Archeologico

Museo Civico

Territorio della Città di Ruvo di Puglia

Geografia e Territorio

L’agro di Ruvo con i suoi vigneti, oliveti e seminativi è uno dei più estesi della terra di Bari. Di notevole interesse la macchia boschiva con numerosi alberi di quercia roverella (Quercus pubescens) e un ben nutrito sottobosco. Il territorio incluso nel “Parco dellAlta Murgia” presenta le caratteristiche tipiche del paesaggio carsico pugliese: doline, valli carsiche o “lame”, tra le quali si ricorda il corso superiore della Lama Balice (altrimenti detto in passato “torrente Tiflis”), oltre a gravi e grotte, tra cui la “Grave della Ferratella” , che è la più profonda in regione, e l’ “Abisso di Notarvincenzo”.

Storia

Situato in provincia di Bari nell’Alta Murgia caratterizzata dal tipico territorio carsico costellato di grotte naturali, Ruvo di Puglia fu anticamente un centro dei Peuceti.
Il suo nome deriva dal latino rupes che significa roccia con richiamo alla natura del territorio appunto.

Il suo territorio venne abitato fin dal Paleolitico Medio (60 mila anni fa) mentre in contrada Cortogiglio sono stati rinvenuti resti di villaggi agricoli.

Abitata dagli Ausoni fin dall’Età del Bronzo (II millennio a.C.) e poi dagli Japigi (di provenienza greca, XII sec. a.C.) Rhyps conobbe il suo massimo splendore tra il V ed il III secolo quando ormai era entrata nell’orbita economica delle città greche della Puglia ed aveva forti scambi commerciali con Atene. Divenne importante centro economico che basava la sua ricchezza sugli scambi commerciali di olio e vino, sviluppando una fiorente attività collaterale di produzione di vasellame da trasporto e da servizio, come testimoniano i numerosissimi reperti rinvenuti nell’agro di Ruvo durante le campagne di scavo effettuate dagli Jatta, dai Caputi e dai Fenicia (patrizi della città).

A seguito delle guerre Sannitiche e di quella contro Taranto la città entrò nell’orbita d’influenza Romana, per poi divenire nella Tarda Repubblica dopo le guerre con Pirro (272 a.C.) dapprima stazione militare e in seguito con il nome di Rubi, municipium. A testimoniare l’importanza strategica della città vi è il fatto che essa è attraversata dalla via Traiana.Questo le permise di svilupparsi economicamente per tutta la durata dell’epoca imperiale.

Le invasioni barbariche non la risparmiarono e Ruvo di Puglia sembra che venne distrutta dai Goti nel 463. Passata dotto il dominio degli Ostrogoti fino al 535, Ruvo divenne bizantina nel 553 attraendo monaci basiliani in fuga dalle persecuzioni iconoclaste operate dagli imperatori d’oriente a partire dal VII secolo.
Al centro di una terra di scontro tra Longobardi e Bizantini nei secoli VIII, IX e X, Ruvo subì anche l’attacco ripetuto di Saraceni (857) i quali dal IX secolo approdarono sulle coste pugliesi dalla vicina Sicilia e Calabria.
Nell’anno 1000 divenne sede vescovile.

Annessa dai Normanni al Regno di Sicilia dal re Ruggero (1040) e successivamente unita alla contea di Conversano dal re Tancredi (1129), Ruvo divenne un feudo venendo fortificato sotto gli Svevi di Federico II (XIII sec.) il quale volle la costruzione della Cattedrale.

A Ruvo i Templari possedevano una sede importante nel XII e XIII secolo dalla quale partivano verso la Terra Santa.
Dopo il 1269 il borgo passò, come tutto il sud Italia, sotto la dominazione degli Angioini che modificarono il castello normanno ed affidarono il feudo ai De Colant i quali si distinsero per un pessimo governo. Nel 1291 Ruvo passò a Roberto de Juriaco e nel XIV secolo fu al centro dello scontro tra la regina Giovanna I e Luigi d’Ungheria.

Il feudatario di Ruvo, Gazzone de Denysiaco, fu accusato della morte del marito di Giovanna I, fratello del re Luigi d’Ungheria, il quale venne in Italia per vendicarne la morte impossessandosi del trono di Napoli. Nel 1348 la situazione si rovesciò e Giovanna, tornata a Napoli, reclamò il possesso delle sue terre pugliesi. Assediata dal signore Roberto Sanseverino, fedele alla regina, Ruvo dovette cedere e tornare nei possedimenti della regina diventando più tardi feudo dei de Vrunfort, degli Orsini del Balzo e degli spagnoli de Requenses (1499). Nell’ambito dello scontro tra francesi e spagnoli Ruvo fu conquistata dai primi ed assediata dai secondi i quali la riconquistarono con Consalvo di Cordova che riconsegnò la città ai Requenses.

Nel 1509 i Requenses vendettero il feudo al cardinale Oliviero Carafa che unì la Contea di Ruvo al Ducato d’Andria nel 1522 fino all’abolizione della feudalità nel 1806. In questo periodo la città di Ruvo conobbe un periodo di splendore che portò l’arrivo dei monaci domenicani e l’inizio di un rinnovo urbanistico ed edilizio con la costruzione di numerose chiese, conventi e case “palaziate”.
Durante questo lungo periodo s’insediarono in città nuovi ordini religiosi i quali edificarono nuove sedi per il culto: il Convento di San Domenico (1560) e dei Cappuccini (1607). Una pestilenza fece quasi scomparire la cittadinanza (1656)

Dopo la breve esperienza repubblicana francese di Napoli (1806-1815) Ruvo e tutta la Puglia confluirono nel Regno delle Due Sicilie sotto i Borboni. I cittadini di Ruvo di Puglia parteciparono attivamente all’esperienze rivoluzionarie del 1799, del 1821 aprendo una rivendita carbonara (Perfetta fedeltà, 1816), del 1848 e del 1860 le quali portarono all’unificazione del Regno d’Italia proclamata il 17 marzo 1861.

In città i massimi monumenti sono la Cattedrale romanica con bel portale, magnifico rosone e ipogeo con pavimento a mosaico di epoca romana al suo interno. La chiesa dell’Annunziata (1377), il Castello ed il Fondo Marasco completano la visita alla Ruvo medievale.

Della città romana si possono ammirare una cisterna (Grotta di San Cleto), una lapide dedicata all’Imperatore Marco Antonio Gordiano Pio (225-244), incastonata nella Torre dell’Orologio (1604) ed il Museo Jatta, dove sono conservati importanti vasi attici ed altri di produzione locale d’epoca ellenistica.

Immagini

Ruvo di Puglia - Piazza Regina Margherita e Municipio

Ruvo di Puglia - Largo Porta Noè e San Domenico

Ruvo di Puglia - Cattedrale

Ruvo di Puglia - Via Isabella Griffà

Ruvo di Puglia - Chiesa S. Angelo e Ospedale

Ruvo di Puglia - Torre

Ruvo di Puglia - Piazza Regina Margherita

Chiesa e Convento di San Domenico (piazza Bovio)

Chiesa e Convento furono costruiti intorno al 1560 con il titolo di SS. Regina del Rosario. Il luogo su cui venne edificato il complesso conventuale dei domenicani risulta essere proprio quello in cui vi erano i ruderi del Convento di S. Caterina.

Nel 1809 la chiesa e il convento furono chiusi al culto. La chiesa restò abbandonata e il convento fu destinato dal comune a caserma e teatro. Su richiesta di una parte eletta di cittadini tra cui il giureconsulto Giovanni Jatta, il vescovo di Ruvo Materozzi riconsacrava la chiesa nel 1819.

Con Regio Decreto di Ferdinando I, nel 1820 si stabilì la venuta dei Padri Scolòpi che cominciarono la loro missione nel 1821 presso la chiesa e l’ex convento dei Domenicani.

Nel 1854 sotto il rettorato di P. Giuseppe De Laurentis iniziarono i lavori di completamento, restauro e abbellimento della chiesa.

Inoltre gli ambienti del convento furono sede delle cosiddette “scuole Pie” dove gli Scolòpi, con il consenso della Santa Sede, organizzarono un vero e proprio Seminario, frequentato non solo da chi voleva intraprendere la vita religiosa, ma anche da coloro che volevano ricevere una buona istruzione. Nel 1866, in seguito ad una nuova soppressione degli ordini, il Convento passò definitivamente al Comune che lo adibì a scuola pubblica per poi restaurarlo a partire dal 1997. Attualmente il convento, completamente restaurato, è visitabile.

Nel 1777 venne fondata la Confraternita della “Purificazione Addolorata” nell’antica chiesetta di S. Carlo e poi trasferita nel 1810 nella Chiesa di S. Domenico dove risiede tuttora. Alla stessa Confraternita si deve attribuire l’organizzazione di alcune processioni: quella della “Desolata” nel Venerdì di Passione e quella di “Gesù Risorto” nella Domenica di Pasqua.

L’interno dell’attuale chiesa di S. Domenico, caratterizzato da una pianta a croce latina, presenta i lineamenti tipici dello stile barocco.

Attualmente il convento è adibito a museo civico e accoglie una sezione del museo diocesano, una pinacoteca dedicata al pittore ruvese Domenico Cantatore, vissuto nel secolo scorso.

Territorio - L’Ambiente


Per quanto riguarda la morfologia, il territorio della città di Ruvo di Puglia ha un’ossatura calcarea formatasi 130 milioni di anni fa e costituita da calcare di Bari (c75) e calcare di Altamura (c10-8), da rocce di origine calcareo-arenaceo (i tufi mazzaro, cozzoso, salso) a cui si alternano argille, depositi alluvionali e terre rosse formatesi tra 1 milione e 2 mila anni fa, coltivabili e concentrate nelle lame.

Il territorio di Ruvo è inserito nel Parco Rurale dell’Alta Murgia, ne fanno parte i Comuni di Altamura, Andria, Bitonto, Cassano delle Murge, Corato, Gravina in Puglia, Grumo Appula, Minervino Murge, Poggiorsini, Ruvo di Puglia, Santeramo in Colle, Spinazzola, Toritto.

Parco Rurale dell’Alta Murgia

Carsismo: Bacini carsici, doline (Pulo di Altamura, Pulicchio), pozzi, inghiottitoi, voragini, gravi, caverne, inghiottitoi. Idrografia sotterranea per l’elevata permeabilità. Nel complesso carsico di Lamalunga è stato rinvenuto l’Uomo di Altamura.

Colture: 60 mila ettari a pascolo (roccioso, cespugliato, arborato) e 11 mila con residui di bosco ceduo. 19 mila ettari coltivati a grano duro, cereali, a colture arboree (mandorlo, olivo) e vigna.

Vegetazione spontanea: Pseudo steppa mediterranea ricca di 1500 specie vegetali. Micropaesaggi di licheni, muschi e a graminacee, ferule, asfodeli, fungo cardoncello, roverella, fragno, coccifera, leccio, cerro e farneto. Sottobosco cespuglioso a perazzo, rosa canina, asparago.

Fauna: Nicchie ambientali con anfibi (rospo e rana verde), 14 specie di rettili, 80 di uccelli nidificanti al suolo, presenza del grillaio, del lanario, della calandra. 17 specie di mammiferi.

Archeologia e antropizzazione: Uomo di Altamura, scheletro completo di ominide vissuto tra 400 mila e 80 mila anni fa collocabile tra l’homo erectus e l’homo di Neandertal. Insediamenti preistorici, peuceti, classici, medievali (Pulo, costone del Garagnone, Chiazzodda, Ceraso). Necropoli e villaggi in grotta preistorici e medievali. Insediamenti rupestri.

Patrimonio rurale: Vie erbose per la transumanza e il trasferimento delle greggi innestati sul sistema viario antico (via Appia e regio tratturo 21 Melfi Castellaneta). Neviere, piscine, pozzi, parietoni, specchie, poste collocate lungo i tratturi, locazioni, ripari, iazzi, mungituri, muri a secco, trulli e lamie. Masserie da campo, da pecora, fortificate con mura torri e garritte.

A cura di Pasquale Sardone, da Alta Murgia Cartografia, Torre di Nebbia Edizioni (Per ulteriori informazioni consulta il volume “Ruvo di Puglia dal Bosco alla Murgia” di Angelo Tedone, edito dalla Proloco di Ruvo di Puglia).

Territorio - L’Archeologia

Dal Paleolitico all’Età del Ferro

Una presenza umana ininterrotta sul territorio ruvese è documentabile sin dalle più antiche epoche preistoriche.

Al Paleolitico Medio (60 mila anni fa) appartengono i manufatti litici ritrovati nel territorio ruvese e ora conservati nel Museo Etnografico “L. Pigorini” a Roma.

Agli albori del Neolitico sono da attribuirsi alcuni frammenti di ceramica impressa, alcuni con la tipica decorazione ad unghiate, rinvenuti casualmente in alcuni siti della città. Sempre al Neolitico risalgono i resti di villaggi cintati rinvenuti in contrada “Cortogiglio”. Le recinzioni, per lo più trincee scavate nel terreno, sono tipiche dei villaggi neolitici della Puglia che costituiscono il carattere peculiare di una società sedentaria che faceva dell’attività agricola la sua maggiore risorsa economica. Ben poco si sa, comunque, di questi insediamenti umani e di queste recinzioni.

Prime tracce della presenza effettiva e certa di Ruvo si hanno nell’Età del Bronzo (2000 a.C.), quando la città era abitata dagli Ausoni. Tra i popoli ausonici, sull’altipiano della Puglia centrale si stabilirono i Morgeti (da qui il nome Murgia). I Ruvesi dovevano abitare in villaggi di capanne. Anche se è difficile definire con certezza il sito topografico di Ruvo preistorica, si può supporre, comunque, che essa si trovasse lungo la strada che dal Pulo di Molfetta (insediamento neolitico) portava a Matera.

Altri ritrovamenti altrettanto importanti sono stati fatti in un altro insediamento preistorico (non ancora ben datato): quello delle grotte che si affacciano sull’alveo torrentizio denominato localmente “u Vagne” (dal bagno cui erano sottoposte le pecore prima della tosatura) ad una quindicina di chilometri da Ruvo. Qui sono stati rinvenuti molti manufatti (raschiatoi, frammenti di lama, punte di freccia) simboli della cultura materiale (caccia, allevamento, economia agricola) delle genti che qui si stanziarono in età preistorica.

L’Età del Ferro (XII-X sec. a.C.) si apre con l’avvento in Puglia degli Iapigi (a cui deve il suo nome la Puglia, infatti: da Iapudes - Iapudia - Apulia - Puglia), i quali giungendo dall’Illiria, spinsero i Morgeti ad emigrare nell’attuale Calabria.

All’Età del Ferro sono da ricondurre i caratteristici monumenti funebri chiamati specchie diffusi nel territorio ruvese e in tutta la Murgia barese.
In seguito ai vari ritrovamenti è possibile supporre che il villaggio protourbano della Ruvo preistorica dovesse già esistere intorno all’XI-X sec. a.C., anche se in mancanza di dati certi, è impossibile riconoscerne l’ubicazione topografica.

Ruvo Peuceta

La Civiltà Iapigia, ancora abbastanza unitaria nell’VIII secolo a.C, in questa età tese sempre più ad articolarsi al suo interno, assumendo la forma di tre culture affini ma distinte: messapica (nell’attuale penisola salentina), peuceta (nell’attuale Terra di Bari) e daunia (nell’attuale provincia di Foggia), corrispondenti ai tre principali gruppi etnici che la componevano.

Contemporaneamente, l’VIII secolo segnò anche l’arrivo sulle coste dell’Italia meridionale di folti gruppi provenienti da varie regioni della Grecia, determinando la nascita di centri coloniali. Il processo di colonizzazione che trasformò l’Italia meridionale in quella che oggi chiamiamo Magna Grecia, interessò marginalmente la Puglia (basti pensare che l’unica colonia greca pugliese fu Taranto). I centri dauni, peuceti e messapi non entrarono mai nell’orbita della colonizzazione greca, sebbene ne furono fortemente influenzati per usi e costumi cultuali.

Il territorio ruvese si estendeva dalla costa fino a Silvium (attuale Gravina) e dall’Ofanto sino ad Egnazia. La città si serviva di un porto naturale (Respa presso Molfetta), divenne centro di confluenza delle culture dauna e peuceta, grazie alla sua posizione intermedia tra Bari e Canosa. In età peuceta Rhyps era costituita da diversi agglomerati urbani, identificabili in vari punti circostanti l’attuale città, tra cui l’attuale collina di Sant’Angelo, il sito “La Zeta” e le colline di “Colaianni”, “Baciamano” e “Spaccone”. Ruvo, con le sue botteghe di oreficeria e fabbriche di ceramica e con i contatti commerciali diretti con la Grecia, divenne una città economicamente florida; il suo benessere economico è testimoniato non solo dalla cospicua quantità di oggetti in metallo e bronzo rinvenuti nelle tombe, ma anche dal conio di monete d’argento e oro a partire dal 300 a.C.

I secoli V e IV a.C. videro uno straordinario incremento delle importazioni vascolari da Atene. I vasi importati costituirono un modello per le botteghe artigianali locali che svilupparono un’arte ceramografa di alto livello. La collezione vascolare presente nel Museo Archeologico Nazionale Jatta comprende sia vasi importati che prodotti della ceramica locale. A quest’epoca si può far risalire anche la famosa pittura tombale detta delle danzatrici rinvenuta a Ruvo nel 1833 e custodita presso il Museo Archeologico Nazionale di Napoli.

Ruvo Romana

Il III sec. a.C. vide la fine della Magna Grecia (con la capitolazione dell’ultima colonia, Taranto, nel 272 a.C.) e la nascita di un’altra grande Civiltà: Roma.
Intorno al III sec. a.C., Ruvo cominciò a subire le prime pressioni dei Romani, che ben presto compresero l’importante posizione strategica della città, da allora denominata Rubi ed entrata così a far parte della riorganizzazione territoriale da essi operata. Rubi diviene infatti una statio romana lungo la via Traiana, percorsa dal poeta Orazio durante il suo viaggio da Roma a Brindisi come si legge nella Satira V (“Inde Rubos fessi pervenimus, utpote longum Carpentes iter, et factum corruptius imbri”).
Rubi, come statio romana, è inserita nell’Itinerario Antonino e nella Tabula Peutingeriana.

L’insediamento romano si andò sviluppando lungo l’asse della via Traiana, costituendo punto di stazionamento dei grandi spostamenti militari e, allo stesso tempo, di difesa e coordinamento territoriale.

L’insediamento romano gravitava intorno al foro che orientativamente doveva trovarsi presso l’attuale Largo Annunziata.

Rubi, dapprima città socia di Roma, nel I sec. a.C. divenne Municipium Romanum; in seguito a ciò in Rubi furono istituite tutte quelle strutture politiche proprie dell’apparato amministrativo romano. Le poche informazioni che si hanno su Ruvo romana, si possono evincere dalle epigrafi tombali, rinvenute nella città e conservate adesso presso il Museo Jatta, e da una lapide posta alla base della Torre del pubblico Orologio in Piazza Menotti - Garibaldi (lapide a Gordiano III).

L’insediamento romano doveva quindi coincidere con l’attuale centro storico ruvese come dimostrano i resti di una Domus romana rinvenuti al di sotto dell’attuale Cattedrale e la presenza di una cisterna romana (denominata dalla devozione popolare Grotta di San Cleto) rinvenuta al di sotto dell’attuale Chiesa del Purgatorio.

Il sistema difensivo di Ruvo nel Medioevo (Mura, porte e torri)

L’immagine medievale di Ruvo è quella di un borgo antico racchiuso in mura possenti intervallate da torri circolari e quadrangolari. Quattro porte principali la collegavano al territorio circostante: Porta Noè, Porta del Buccettolo, Porta del Castello, Porta Nuova. La più importante, anche perché vicina alla sede dell’Università, era Porta Noè che immetteva sulla strada per Bitonto e Bari. Appena all’interno della porta, a conferma dell’importanza dell’area urbana, si trovavano a destra il Palazzo del Decurionato o Casa Comunale (sede dell’amministrazione e dei Giudici) e a sinistra le carceri.

Per quanto concerne la porta del Buccettolo, il termine deriva dal latino Bucetum = “pascolo per buoi”, a sua volta derivato dal termine latino Bos = “bue”. Con il termine Buccettolo si indicavano perciò le aree interne alla cerchia di difesa adibite a spazio verde e pascolo, di grande utilità per gli abitanti in caso di assedio o epidemia, in quanto consentivano loro un certo limite di autonomia, nel momento in cui non vi era la possibilità di uscire dalla città.

Grazie all’analisi toponomastica, si può affermare che le attuali Via N. Boccuzzi (ex via Vuccolo), Via Schiavi, Via Madonna, Via San Carlo (ex Via della Strignatora) costituivano il buccettolo della Ruvo medievale. Inoltre la presenza di pochi elementi medievali, tutti successivi al XII secolo, situati nella aree del buccettolo, fa presupporre che le mura della città furono realizzate in modo da contenere anche il futuro ampliamento della città. Di conseguenza fra l’antico nucleo e il circuito di difesa fu interposta una larga fascia di verde edificata solo successivamente.

Le mura, costruite accuratamente con il fossato dalla parte esterna, si dipanavano da porta Noé verso i due torrioni angolari (entrambi ricostruiti nel XVI sec. sotto il dominio aragonese) ancora esistenti (uno sito in via Fornello e l’altro in via Rosario); lungo il muro di destra erano stati ricavati molti locali adibiti a beccherie. Seguendo poi direttrici opposte, in gran parte coincidenti con i lati interni degli attuali corsi, le mura si saldavano a nord-ovest presso il castello.

Oltre al Castello, alla Torre del Pilota e alle mura, altro cardine del sistema difensivo era costituito dalla torre annessa alla Cattedrale, costruita prima della chiesa, e cioè nell’XI secolo (mentre la Cattedrale fu realizzata tra XII e XIII secolo). Tale torre, adibita in seguito a campanile grazie alla sua posizione, consentiva il controllo della pianura sottostante fino al mare

Durante l’aggressione di Consalvo De Cordoba nel 1503, le mura furono gravemente danneggiate nel tratto sud-est e poi riedificate.

In epoca moderna, il sistema di accesso alle vie del borgo antico fu integrato da una serie di porte minori dette “portelle”, praticate nelle mura, forse per consentire agli abitanti di raggiungere più rapidamente i luoghi di lavoro senza fare lunghi giri all’interno della città fino alle porte principali. Tali portelle, alcune delle quali ancora esistenti e riconoscibili, si trovavano presso l’Arco Fornelli, presso Fondomarasco (Arco Ferrari), in via Mulini, presso il Buccettolo e presso il torrione di via Rosario.
Tra il 1516 e il 1799 la manutenzione delle mura non fu curata, tanto che nel 1799 queste si trovavano in stato di abbandono e si provvide a ripararle anche in vista dei moti rivoluzionari.

Agli inizi dell’800 tutte le aree libere all’interno delle mura erano scomparse e la città antica era ormai satura di costruzioni. L’espansione all’esterno era necessaria alla crescita e allo sviluppo della città. I nuovi insediamenti cominciarono a sorgere presso Porta Noè, al largo del Buccettolo e fuori Porta del Castello. L’esigenza di raccordare la città antica ai nuovi sobborghi comportava la distruzione delle antiche muraglie che ancora la cingevano quasi completamente. L’abbattimento era necessario anche per motivi igenico-sanitari: le mura e i fossati erano malsani in quanto vi ristagnavano le acque e venivano usati come discariche, impedendo così la circolazione dell’aria. Il diffondersi di frequenti epidemie coleriche rendeva ancor più urgente la decisione di rimuovere le mura e le porte, ritenute le cause principali dell’insalubrità.

L’abbattimento della cinta muraria fu pressoché totale; attualmente è ancora visibile solo il tratto sud-orientale con i torrioni aragonesi di Via Rosario e via Fornello e la torre quadrangolare di via Parini.

Territorio - La Cattedrale

Costruita tra il XII e il XIII secolo, durante il dominio normanno in Puglia, la Cattedrale rappresenta il vero cuore pulsante del centro storico di Ruvo di Puglia. Isolata rispetto al contesto urbano, la chiesa presenta un visibile ribassamento del sagrato rispetto all’impianto viario della città. I vari rimaneggiamenti e le modifiche apportate all’edificio religioso nei secoli successivi non sono stati tali da cancellarne l’originaria veste romanico – gotica. Tipicamente romanica è la facciata, caratterizzata nella parte inferiore da tre portali, opera di maestranze locali. Di grande pregio è il portale centrale, fiancheggiato da due colonnine sormontate da grifi e rette da leoni stilofori, a loro volta sostenuti da telamoni, la cui plasticità si riscontra anche nei personaggi religiosi che affollano l’arco più esterno del portale centrale. In particolar modo al centro dell’arco troviamo Gesù affiancato prima da due pellegrini, provvisti di ramoscelli d’ulivo e poi dalla Madonna e da S. Giovanni Battista, verso di loro convergono sia le creature angeliche, sia i dodici apostoli collocati nel sottarco.


Nel secondo arco del portale troneggia l’effige dell’agnello dell’Apocalisse, fiancheggiata dai simboli dei quattro Evangelisti: a sinistra troviamo prima l’Angelo (S. Matteo), poi il Leone (S. Marco), mentre a destra troviamo prima l’Aquila (S. Giovanni), poi il Toro Alato (S. Luca). Prima di giungere nella parte superiore della facciata, la nostra attenzione viene attratta dal piccolo rosoncino centrale, finemente traforato e dalla bifora, la cui lunetta viene ravvivata da un S. Michele Arcangelo particolarmente festante.

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I numerosi archetti pensili sostenuti da minuscole mensole aventi sembianze umane, zoomorfe e fitomorfe fanno da pendant tra la parte inferiore e quella superiore della facciata. Usando gli archetti come degli immaginari scalini, si giunge nei pressi del gigantesco rosone - terminato in epoca cinquecentesca - sormontato da una nicchia dov’è collocato un misterioso personaggio seduto, difficile da identificare.

L’enigmatica figura del “sedente” rappresenta il finanziatore della chiesa. Il sedente ha un elmetto tondo che gli copre a guscio la testa e indossa una tunica ampia, stretta in vita con una cintura; è seduto su di un seggio e regge sulle ginocchia un elemento orizzontale, ormai frammentario, una sorta di supporto sul quale doveva essere fissato un ipotetico modellino del duomo, nell’atto di essere offerto alla comunità ruvese. Il sedente potrebbe essere una autorità civile o militare: varie circostanze fanno pensare che si tratti di Roberto II di Bassavilla, Conte di Conversano e Loretello e Signore di Ruvo, figlio di Roberto I di Bassavilla e cugino del re normanno Guglielmo I il Malo.

La facciata culmina con la statua di Gesù Risorto che regge una bandiera segna vento.


L’interno

La chiesa, impostata su pianta a croce latina, presenta un corpo longitudinale articolato in tre navate, terminanti con tre absidi collocate nella zona del transetto. Mentre la navata centrale e il transetto sono caratterizzati da una copertura a capriate, costituita cioè da travi lignee, le due navatelle hanno una copertura con volta a crociera. La navata centrale risulta separata dalle navate laterali da una teoria di pilastri cruciformi. Si può notare come i pilastri della navata destra, sebbene cruciformi, risultino più rotondeggianti e quindi di maggiore livello artistico rispetto ai pilastri di sinistra, aventi forme più squadrate. Ciò indica che la chiesa è stata edificata in due fasi. In un primo momento probabilmente fu costruita la parte destra; successivamente, forse per mancanza di adeguate disponibilità economiche, si decise di realizzare dei pilastri dalla forma più squadrata e quindi più rigida. La qualità artistica dei pilastri di destra è accentuata da capitelli di ottima fattura caratterizzati dalla rappresentazione di scene tratte non solo dall’iconografia o dalla simbologia cristiana, ma anche dalla mitologia medievale. Pietra e scalpello si fanno così narratori di strane storie, i cui protagonisti sono animali, creature mostruose, ma anche figure umane. In particolar modo il capitello del penultimo pilastro presenta due personaggi che stanno festeggiando simbolicamente la fondazione della cattedrale. I capitelli della parte sinistra, invece, vedono il dispiegarsi e l’intrecciarsi di motivi floreali e astratti.

I pilastri che circoscrivono lo spazio della navata centrale sono sormontati da una sorta di cornicione, denominato ballatoio, sostenuto da una infinita varietà di minuscole mensole aventi sembianze umane, zoomorfe e fitomorfe.

La luce esterna, filtrando attraverso le bifore e le trifore valorizza la plasticità scultorea dei capitelli e delle mensole del ballatoio.

La semplicità e l’austerità della struttura e degli arredi sacri mettono in evidenza l’impianto romanico–gotico della chiesa. In realtà, nei secoli scorsi il duomo ruvese è stato oggetto di varie trasformazioni.


Tra il 500 e il 600 la chiesa nelle navate laterali furono aperte alcune cappelle successivamente chiuse nei restauri del primo Novecento. Attualmente nell’abside destra del transetto è collocato un dipinto su tavola attribuito allo ZT, risalente al XVI secolo e raffigurante la Madonna di Costantinopoli che vanta un stato di conservazione abbastanza buono.

Tra il patrimonio artistico si annoverano la statua lignea raffigurante il Crocifisso risalente al XV secolo, la statua lapidea di S. Lorenzo e la statua in legno intagliato di S. Biagio, risalenti entrambi al XVI secolo. Le prime due sono collocate attualmente nella navata sinistra, mentre la terza si trova nell’abside sinistra del transetto.

Nel 1749 anche il soffitto a capriate subì una vistosa trasformazione: fu coperto infatti da un controsoffitto ligneo con pitture e stucchi dorati realizzato dall’artista Luca Alvese e rimosso poi nel 1918.

All’inizio del ’900 le cappelle delle due navate furono demolite in seguito a varie ragioni, tra cui il ribassamento del sagrato che richiedeva la realizzazione di scalini per accedere alle cappelle; l’aggiunta di scale avrebbe ridotto lo spazio delle navatelle che già si presentava esiguo. La rimozione del controsoffitto ligneo e la distruzione delle cappelle sono dovute non solo a motivi pratici, ma anche ideologici: si voleva preservare a tutti i costi l’originaria veste romanico – gotica della cattedrale. Eliminando le sovrapposizioni barocche, vennero alla luce tracce di affreschi presenti nel braccio destro (Vergine in trono con S. Sebastiano) e nel braccio sinistro del transetto.

Addossate alle pareti, vi sono inoltre delle lastre in pietra raffiguranti alcuni personaggi del vescovado ruvese. Tali lastre costituivano le coperture tombali di alcune camere sepolcrali presenti nel vano sotterraneo della chiesa.

Territorio - Il Castello


Il Castello è situato nell’estremità nord occidentale del nucleo antico della città di Ruvo ed è costituito attualmente da una costruzione quadrangolare di probabile fondazione normanna e da tre corpi, più bassi rispetto alla torre, disposti intorno ad un atrio, al quale si accede tramite un androne denominato Arco Melodia; quest’ultimo è situato sul lato meridionale del suddetto atrio. Il fronte meridionale si affaccia sull’attuale Piazza Matteotti. Ad ovest il Castello è fiancheggiato da una serie di costruzioni realizzate nei primi anni del 900, mentre ad Est della torre si innesta perpendicolarmente l’impianto di Palazzo Melodia, costruito nel XIX secolo nel giardino del Castello.

La prima notizia sul Castello si ha nel 1179, in occasione delle concessioni fatte dal Castello da parte del feudatario di Ruvo Roberto di Basaville, Conte di Conversano e Loretello, in favore della Chiesa di S. Leonardo di Siponto.

Il Castello, al momento della sua realizzazione, era costituito dalla sola torre quadrangolare, risalente al X-XI secolo, le cui aperture controllavano le quattro direzioni di accesso alla città.

Infatti le piccole monofore a Ovest (tipiche delle torri di difesa) permettevano il controllo della via proveniente da Canosa che ricalcava sicuramente il tracciato dell’Antica via Traiana; la bifora sita sul lato meridionale e la trifora a nord (entrambe realizzate nel XIII secolo durante il regno di Federico II in Puglia) controllavano rispettivamente la strada proveniente da Gravina e quella che collegava Ruvo al suo antico emporio marittimo (Respa, sito nell’attuale città di Molfetta); mentre le monofore e le logge (ora non più visibili integralmente), situate a est, guardavano il centro abitato.

Attualmente, attraversando l’Arco Melodia, si entra nell’interno dell’atrio dove sono visibili le scale addossate alla torre e un arco a sesto acuto del XIII secolo, ora murato, il quale probabilmente costituiva uno degli ingressi dall’esterno.

La torre e l’arco erano inseriti in un sistema bastionato (provvisto di bastioni, ancora oggi esistenti negli angoli nord-est e sud-est, alti 5,40 metri, di cui il primo di forma quadrangolare e il secondo curvo). La struttura aveva, quindi, la funzione di presidio per l’accesso alla città, per cui solo con la successiva riorganizzazione urbana, il castello con il suo cotile bastionato, fu inserito all’interno della cerchia muraria.

Nel XIV secolo sotto il domino degli Angioini, al complesso del castello fu aggiunta una ulteriore struttura di difesa: la Torre di Pilato. Situata sul lato ovest dell’attuale Piazza Regina Margherita, la Torre di Pilato era di forma circolare, alta 33 metri e munita di un bastione poligonale (denominato “rivellino”), posto alla sua base ed elevato sino al secondo piano della Torre, in quanto meglio rispondente alla difesa dalle armi da fuoco. La Torre fu utilizzata in seguito dai Carafa come prigione nei sotterranei. Nel 1879 l’Amministrazione Comunale fece abbattere il bastione, mentre la Torre crollò nel febbraio del 1881.

Nel XV secolo anche il Castello subì delle modifiche; infatti, fu realizzata la cannoniera, tuttora esistente, per adeguare la struttura alle nuove tecniche di attacco. Per un certo tempo il castello continuò a svolgere la funzione di difesa e fu roccaforte francese e spagnola. Dal XVI secolo seguì la sorte degli altri edifici militari: persa, infatti, la sua funzione originaria, fu trasformato in residenza ducale, dove i Carafa risiedettero. Nel 1809 e nel 1811 i Carafa cedettero il giardino orientale e il castello a Cesare Montaruli per la costruzione del Palazzo della Principessa Melodia, nipote di quest’ultimo.

Sistema dei Musei

Il “Sistema dei Musei” della città di Ruvo di Puglia sostiene e promuove le strutture museali ed archivistiche nello svolgimento dei loro compiti istituzionali di ricerca scientifica, di promozione della cultura, di conservazione,restauro, catalogazione ed ostensione di reperti, documenti e cimeli, di incremento delle collezioni, di attività espositiva, di sostegno all’attività didattica e di ricerca.
Obiettivo è la progressiva integrazione allo scopo di ottimizzare l’uso delle risorse, nonché di costruire un itinerario ideale che colleghi lungo un’unica traccia le multiformi espressioni della memoria storica e della ricerca in atto.
Una delle differenze più evidenti tra un museo singolo ed un sistema museale è proprio la capacità di ricevere forza dall’integrazione di tante risorse, non solo insite nella specifica istituzione culturale, ma anche esterne e radicate nel territorio e di proporsi come uno dei diversi luoghi, non l’unico, della conoscenza di una realtà culturale.
Ogni singola unità si mostrerà quindi come l’autonoma componente di un insieme politematico e potrà acquistare maggiore valore e più forte significato proprio in relazione a tutte le altre componenti.
L’impostazione di tutto il sistema di comunicazione interna al museo, legato strettamente con le iniziative di promozione territoriale diffusa, è un aspetto di grande importanza ed efficacia che costruisce un’immagine coordinata dell’intero sistema che vede l’impegno di più Enti.
Il museo nazionale archeologico Jatta trova nel quasi contiguo ex convento di San Domenico adibito a museo civico da parte del Comune di Ruvo, la sua estensione quasi naturale, per poter realizzare in alcuni luoghi presenti in esso occasioni di manifestazioni culturali comuni attraverso attività di convegni e di manifestazioni culturali (mostre tematiche, proiezioni ecc.), la cui realizzazione è totalmente impedita nell’antico palazzo Jatta dalla mancanza di disponibilità di ulteriori spazi annessi al museo.
Con questo progetto si sviluppa un programma di interventi che si configurerano, per certi versi, comuni ai due musei, diventando l’uno una logica estensione fisica dell’altro condividendo anche in buona parte l’impegno scientifico espositivo relativo all’ampia sezione archeologica presente anche nel ex Convento San Domenico.
Il sito internet del “Sistema Musei della città di Ruvo di Puglia” consente agli utenti una virtuale fruizione dei servizi dei musei in un’ottica di cooperazione finalizzata alla divulgazione storico artistica e didattica e di condividere informazioni per un uso finalizzato alla divulgazione, alla ricerca e a tutti i possibili fruitori delle conoscenze dei musei.
Il web consente di implementare il concetto di museo come officina di produzione di cultura, aprendo il sapere scientifico in esso contenuto sia a tutte le realtà formative che intendono avvalersi del sapere storico culturale in esso contenuto, sia a tutte quelle realtà scientifiche (università, ricercatori privati). Le realtà didattiche usufruiranno di un sistema di blend-learning a supporto ed integrazione dei contenuti conoscitivi forniti nel museo reale.

Museo Nazionale Archeologico Jatta

Storia e collezione


Al Museo Jatta si accede dal n°35 di Piazza Bovio, corrispondente all’ingresso principale dell’omonimo palazzo, di cui occupa quattro stanze a piano terra prospicienti il giardino, in fondo a sinistra rispetto al cortile centrale.

L’edificio, la cui progettazione non si sa se attribuirla all’ing. Mastropasqua di Giovinazzo o all’architetto Castellucci di Bitonto, fu costruito a partire dal 1842 per iniziativa di Giulia Viesti, vedova di Giulio Jatta, e dopo la morte di lei, nel 1848, fu completato sotto la supervisione del figlio Giovanni Jatta junior.

La costruzione del palazzo e quindi la realizzazione di un Museo al suo interno, erano finalizzate ad accogliere i due nuclei della collezione, sino allora divisi fra l’antica dimora della famiglia, e in particolare di Giulio Jatta, e la residenza napoletana di suo fratello Giovanni Jatta senior.

A Giulio e a suo fratello Giovanni senior si deve il merito di aver salvato dalla dispersione, fra il 1820 e il 1835, gran parte del ricco patrimonio di oggetti antichi che si andavano scoprendo a Ruvo attraverso un fervore di scavi disordinati e non sempre legali, mentre a Giovanni junior (figlio di Giulio) si deve la sistemazione della raccolta, con il suo primo e ancora utile Catalogo, edito a Napoli nel 1869.

Anche dopo la morte di Giovanni junior la raccolta continuò ad accrescersi, soprattutto grazie all’attività dei suoi figli Antonio e Michele.

La prima ipotesi di vendita della collezione risale addirittura a Giovanni senior, il quale, poco prima di morire, aveva preordinato le condizioni del suo acquisto integrale per il Real Museo Borbonico di Napoli; evento che Giulia Viesti riuscì fortunosamente (e fortunatamente per Ruvo) ad evitare nello stesso anno della sua morte.

I tentativi di acquisizione pubblica si sono poi succeduti a partire dal 1914 fino al 1991, quando la collezione è stata acquistata dal Ministero per i Beni Culturali, dietro corrispettivo di nove miliardi, inteso dalla famiglia quale parziale rimborso delle spese sostenute in oltre un secolo per il mantenimento del Museo.

I reperti esposti sono tutti vasi e oggetti in terracotta, fatta eccezione per gli oggetti metallici collocati in una delle vetrine della quarta stanza.

All’atto della riapertura al pubblico, si è volutamente rispettata l’impostazione del Museo secondo i criteri culturali ottocenteschi: l’oggetto era tanto più degno di essere conservato ed esibito quanto più era decorato o quanto più insolita ne era la forma o la tecnica di esecuzione.

Stanza I


La Stanza I è dedicata a quelle che G. Jatta nel suo Catalogo definisce Terrecotte. All’interno degli scaffali, oltre alle terrecotte figurate, sono esposti dei vasi a decorazione geometrica, provenienti dalle diverse aree della Puglia e alcuni crateri arcaici (alcuni decorati secondo prototipi corinzi); si possono ammirare numerosi esempi della ceramica geometrica peuceta e della ceramica canosina listata. Nel vano della finestra c’è un sarcofago in tufo contenente oggetti facenti parte di un corredo risalente all’età ellenistica. Al centro della stanza è collocato un enorme dolio, circondato da tre grandi vasi di età ellenistica.

Stanza II

Con la Stanza II inizia l’esposizione della celebre ceramica decorata a figure rosse di officine apule e talora lucane e attiche. Tali vasi presentano non solo scene mitologiche, ma anche scene di vita quotidiana (il commiato del guerriero, scene di toeletta femminile, atleti che si detergono dopo aver partecipato a gare podistiche).


Al centro della stanza primeggia un cratere di enormi dimensioni attribuito al Pittore di Baltimora e risalente al IV sec. a.C. Tale cratere presenta la raffigurazione di una scena mitologica che ha come protagonisti il dio Apollo e sua sorella Artemide, colti nell’atto di uccidere i numerosi figli di Niobe, dal momento che quest’ultima aveva osato vantarsi della sua progenie così numerosa rispetto agli unici due figli di Latona (madre di Apollo e Artemide).

Tra i vasi più rappresentativi della seconda stanza è bene ricordare anche le due anfore che fiancheggiano il cratere del Pittore di Baltimora. Tali anfore risalgono al IV sec. a.C. La prima anfora (è quella che si vede appena si entra nella stanza) raffigura Antigone, condotta prigioniera da Creonte, mentre Eracle, che aveva inutilmente interceduto per lei, è raffigurato all’interno di un tempietto; nella parte inferiore della stessa anfora vediamo nuovamente Eracle in lotta contro la regina delle Amazzoni Ippolita. L’altra anfora raffigura, nella parte superiore, una scena di offerta funeraria, mentre in basso troviamo un fregio continuo con le Nereidi (le ninfe del mare) che recano le armi ad Achille. Nei vari scaffali trovano posto non solo alcuni crateri a campana di produzione lucana, ma anche unguentari (lékythos), balsamari, piccole anfore, piatti con raffigurazioni di pesci e molluschi e altri oggetti utilizzati dagli antichi nella vita quotidiana.

Stanza III

Numerosi sono i capolavori della ceramica, sia attica che italiota (fabbriche lucane e apule), posti sulle colonne della Stanza III. Tra i vasi di straordinaria suggestione presenti in questa stanza, ricordiamo il grande cratere a volute, attribuito al Pittore di Licurgo e datato alla metà del IV secolo a.C.: in esso la scena principale raffigura il giardino di Era, con al centro il melo dai frutti d’oro che la dea aveva affidato in custodia alle Esperidi, figlie di Atlante e al drago Ladone, che qui si avvolge intorno all’albero. Un altro cratere di elevata fattura è quello che si trova sulla prima colonna a sinistra, appena entrati nella stanza. Si tratta del cratere a volute apulo, attribuito al Pittore della Nascita di Dioniso (inizi del IV secolo a.C.), sul quale è rievocato lo scontro fra Eracle e Cicno assistito dal padre Ares, identificabile nel personaggio in piedi sulla quadriga.

La terza stanza è particolarmente importante perché qui sono esposti numerosi rhytà (bicchieri con protomi zoomorfe, usati nelle grandi cerimonie), kylix (coppa da vino), kàntharos (bicchieri a calice) e skyphos (tipo di bicchiere destinato alle tavole più modeste).

Nel vano a sinistra della terza stanza vi è il busto marmoreo di Giovanni Jatta junior, mentre quello di Giovanni senior, l’iniziatore della raccolta, è conservato nella quarta e ultima stanza, destinata ad accogliere i vasi ritenuti più preziosi dal nipote Giovanni.

Stanza IV


La Stanza IV accoglie il vaso più importante della collezione Jatta. Si tratta del cratere attico a figure rosse che il Pittore di Talos (prende il nome proprio dalla scena raffigurata) dipinse intorno al V secolo a.C. Si tratta di uno dei maggiori capolavori della ceramica greca a noi pervenuta. Il cratere in questione, riporta la rappresentazione di uno degli episodi della spedizione condotta dagli Argonauti al seguito di Giasone, per la conquista del famoso vello d’oro dell’ariete di Frisso. Gli eroi, tra cui si riconoscono i Dioscuri, Castore e Polluce, sbarcano a Creta custodita dal gigante bronzeo Talos, il quale, in seguito ai sortilegi di Medea (compagna di Giasone) viene sconfitto e ucciso.

Oltre al vaso del Pittore di Talos, importanti sono anche i vasi attici di età classica come la lekythos del Pittore di Meidias (ultimi decenni del V secolo a.C.) e la kylix con all’interno la figura di un Sileno su fondo bianco, entrambe conservati nel primo scaffale. Vasi attici a figure nere e vasi corinzi sono conservati invece nel secondo scaffale.

La quarta stanza è poi arricchita da una vetrinetta contenente oggetti metallici, la cui collocazione cronologica va dall’Età neolitica ai primi secoli dell’epoca romana.

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